L’ira funesta

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L'ira funesta“L’ira funesta” è un libro genuino, autentico, godibilissimo, squisitamente letterario, infarcito da delicata ironia. La scrittura  scorre fluida a deliziare il palato del lettore. Roversi ha costruito una storia credibilissima che a tratti assume aspetti grotteschi e surreali. C’è il morto ammazzato, il maresciallo che indaga, e tutta una serie di personaggi che sgomitano per rivendicare a buon diritto un ruolo di primo piano nel romanzo. Il Gaggina si eleva su tutti per la sua imponenza fisica e letteraria,  tratteggiato con pennellate che lo rendono straripante, un gigante buono con turbe psichiche. Vittima e carnefice nella stessa misura, se ne va in giro con una katana, samurai dei nostri tempi, e distribuisce sganassoni come fossero caramelle. È un personaggio che commuove per la sua solitudine,  la costante  ricerca d’amore, il desiderio di una carezza mai ricevuta. Tocca il cuore del lettore.  La sua furia nei confronti del mondo è solo  bisogno di tenerezza, di calore, la ricerca di una mano tesa  che la vita sembra costantemente negargli. Nella Bassa (la striscia di Pianura Padana che corre lungo il Po), “L’ira funesta”  (Rizzoli pagg. 313, € 17.00) sembra collocato in un contesto dove lo scorrere del tempo non esiste, i protagonisti di questa bizzarra storia sono pervasi da un candore magico, squisitamente provinciali  ma anche universali per la loro spumeggiante originalità. Profumano di grappa fatta in casa, di piadina, di Lambrusco, si sente il respiro della terra, la forza delle radici e un grande senso di appartenenza.  Nel borgo Piccola Russia, dove è ambientato il romanzo e dove vivono gli ultimi comunisti scampati all’inclemenza della storia, gli abitanti mescolano pettegolezzi e generosità, maldicenze e solidarietà,  sono veri, ruspanti, costruiti  con l’abilità dello scrittore di razza.  La purezza dei contadini che non si piegano e non si spezzano dinanzi agli eventi nefasti. Uno spaccato di umanità che ci regala il piacere della sana lettura. Roversi è bravo a giocare con le parole, ad amplificare un piccolo evento fino a farlo diventare un caso eclatante, fitto di misteri e aspetti farseschi. Ci sono situazioni pazzesche in questa storia: salvataggi in elicottero, fughe su deltaplani, interventi di corpi speciali della polizia. Sembra quasi in atto la terza guerra mondiale e invece dall’altra parte c’è solo un bambinone di centotrenta chili fuori di testa, barricato in casa. Non so se Paolo   ha letto Achille Campanile  ma in certe sue dilatazioni e deformazioni della realtà ho colto aspetti del grande umorista napoletano. Questo romanzo si presenta come un giallo per via del morto ammazzato e dell’assassino da scoprire, per la presenza del maresciallo Valdes, i suoi uomini, l’amore fatale per la bella giornalista.  In realtà è una commedia, a tratti esilarante, a tratti grottesca, profondamente umana e profondamente lirica, suscita quasi tenerezza, ci rammenta quanto piccoli e vulnerabili siamo noi essere umani e quanto sia facile distorcere la verità, individuare un capro espiatorio e riversare su di lui le nostre piccole frustrazioni.

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Salvo Zappulla

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